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Le armi chimiche ed il bioterrorismo. 

Una delle possibili e realistiche emergenze per la popolazione civile.

 

Alcuni dati:

·           12 maggio 1995 Negli Stati Uniti scatta l'allarme rosso con l’arresto di Larry Harris, un tecnico di laboratorio dell'Ohio facente parte dell'organizzazione estremista "Aryan Nation". Una settimana prima, con una carta intestata falsa e comunicando il numero della sua carta di credito, era riuscito ad acquistare per posta dalla American Type Culture Collection di Rockville, una società di forniture biomediche del Maryland, tre fiale contenenti Yersinia pestis, il bacillo che causa la peste. Nel novembre 1995, Harris, condannato ad una blanda pena per "frode postale", è stato rimesso in libertà; il tribunale ha creduto alla sua versione: effettuare ricerche per neutralizzare ratti iracheni, secondo lui, infettati con la peste dagli scienziati di Saddam e introdotti negli Stati Uniti. Oggi sappiamo bene che Saddam non aveva armi chimiche e che in nome di non si sa cosa, è stato attaccato il suo paese e sono numerosissime le vittime civili e che l’Italia è complice in questa aggressione, mentre cominciano a trapelare documenti che testimoniano l’uso del fosforo bianco (chimica ad uso dei militari americani e dei sui “alleati”).

Un dato di fatto: Di certo Larry Harris, se avesse voluto coltivare un arsenale biologico, il suo compito sarebbe stato spaventosamente semplice. Dividendosi ogni 20 minuti, un singolo bacillo di Yersinia pestis può produrre in 8 ore 16 milioni di copie di se stesso; in 12 ore, 68 miliardi; in una giornata una sterminata colonia capace di devastare con la peste polmonare una metropoli

 

·          Dopo questo episodio negli Stati Uniti l’acquisto e lo spostamento di agenti patogeni è stato sottoposto ad un rigido controllo, affidato ai Centers for Disease Control and Prevention. Nonostante ciò, gli allarmi si susseguono. L’ultimo risale al 20 febbraio 1998 quando l'FBI ha arrestato, alla periferia di Las Vegas, Larry Wayne e Bill Leavitt. Una valigetta di alluminio, custodita nella macchina dei due, conteneva delle strane provette di vetro blindato e dentro le provette una sostanza micidiale se inalata: spore di Bacillus anthracis. In assenza di un’adeguata terapia, 8.000 di queste spore (meno di un milionesimo di grammo) possono uccidere un essere umano in cinque giorni.

·            Ancora peggio usando altri microrganismi, come il virus di Ebola. Secondo l’FBI, Shoko Asahara, capo della setta Aum Shinrikyo, responsabile di aver disseminato, il 20 marzo 1995, Sarin, un gas nervino, nella metropolitana di Tokyo (12 persone uccise, migliaia di intossicate) si era recato nell'ottobre 1992 nello Zaire proprio per ottenere campioni di questo micidiale virus (per fronteggiare il quale non esiste ancora nessuna valida terapia) da mettere in coltura e utilizzare in attacchi biologici. Ma invece di ricorrere ad esotici microrganismi, un terrorista potrebbe trafugare qualcuna delle nuove armi batteriologiche, già esistenti negli arsenali di almeno dieci nazioni, e capaci di moltiplicarsi . in maniera prodigiosa all'interno dell'organismo del "nemico" prima di trasmettersi all'esterno perpetuandosi.

·           Ad esempio un microscopico fungo - il Blastomyces dermatidis - le cui spore possono essere inalate e insediarsi quindi nei polmoni; lì, il fungo comincia a prolificare e, nel giro di qualche giorno o di qualche ora, cominciano a formarsi lesioni granulomatose. A questo punto il soggetto (questa infezione colpisce preferenzialmente soggetti maschi tra i 30 e i 40 anni che è il "target" dei soldati) è spacciato e, quasi sempre, poco prima di morire, tossisce rabbiosamente provvedendo a disseminare intorno a sé altre spore del fungo. La letalità dell'infezione è del 90 per cento e può essere arginata soltanto se si conosce esattamente il "ceppo" del fungo utilizzato e, quindi, il tipo di antibiotico da utilizzare: una procedura lunga e difficile che, di certo, è stata preventivamente compiuta dall'attaccante per proteggere le proprie truppe. Una procedura davvero difficile se fossero le spore di Bacillus anthracis, realizzate da Andrei Pomerantsev del Centro scientifico statale di microbiologia applicata di Obolensk, nei pressi di Mosca; queste spore, producendo la variante di una tossina batterica denominata "cereolisina", risultano invulnerabili agli antibiotici e ai vaccini usati, ad esempio, per immunizzare le truppe statunitensi impegnate in Iraq durante la Guerra del Golfo. La scoperta di Pomerantsev, da egli stesso divulgata, nel gennaio 1998, su riviste scientifiche occidentali, e la constatazione che circa il 90% degli scienziati dell'ex Unione Sovietica che lavoravano nel sistema "ricerca e sviluppo" della guerra biologica hanno abbandonato il paese alla ricerca di nuovi incarichi delinea scenari davvero tenebrosi. E a fatto aprire all’opinione pubblica su un capitolo della storia che si riteneva chiuso per sempre: la guerra batteriologica.

 

Le bombe vive (un po’ di storia)

La guerra batteriologica risale almeno al 1347 quando truppe tartare, impegnate nell'assedio del presidio genovese di Caffa sul Mar Nero, catapultarono all'interno della fortezza cadaveri di appestati. Trasportata dalle navi dei genovesi in fuga, la Morte Nera sbarcò in Europa dove sterminò in appena tre anni 20 milioni di persone. Quattro secoli dopo, la propagazione intenzionale di infezioni sconosciute e quindi micidiali per le popolazioni nemiche costella l'espansione del colonialismo europeo: nel 1763 Sir Jeffrey Amherst, governatore della "Nova Scotia" diffonde tra i pellerossa coperte infettate di vaiolo; più o meno nello stesso periodo gli inglesi mandano tra i Maori (che popolavano allora la Nuova Zelanda) gruppi di prostitute infettate dalla sifilide: ben presto le popolazioni indigene sono sterminate e le loro praterie sono finalmente "terra vergine" per i coloni europei.

Durante la seconda guerra mondiale i giapponesi disseminano in Manciuria, la peste, il colera, la leptospirosi tramite le tonnellate di microrganismi prodotti nella installazione "Unita 731" diretta dal professore Shiro Ishii. Crollato l'Impero del Sol Levante, Ishii (responsabile, tra l'altro della sperimentazione su prigionieri di guerra di armi batteriologiche) non solo non viene condannato come criminale di guerra al Processo di Tokio, ma è invitato negli Stati Uniti a collaborare al funzionamento del più grosso centro di guerra batteriologica americano: Fort Detrick dove, dal 1942 venivano selezionati, prodotti e stivati in bombe o testate missilistiche germi di malattie quali peste, morva, tifo petecchiale, carbonchio...

Come rivelato da documenti solo recentemente declassificati, gli americani già nel 1940 avevano cominciato a sviluppare questo sistema d'arma nella illusione che la produzione industriale della penicillina (uno dei progetti meglio custoditi della seconda guerra mondiale e che impegnò qualche cosa come 7.000 scienziati) avrebbe garantito ad essi l'invulnerabilità contro le armi batteriologiche. Svanito il monopolio della penicillina, gli anni '50 e '60 vedono una frenetica corsa per la produzione di microrganismi sempre più micidiali. Negli USA sorgono ben nove impianti di guerra batteriologica, in Gran Bretagna si costruisce la "fabbrica di microbi" di Porton, stessa cosa viene fatta in URSS sulle coste del Mar Caspio.

Verso la fine degli anni '60, comunque, le armi batteriologiche cominciano ad essere snobbate dai vari Stati Maggiori: le continue ricerche sui microrganismi e sui farmaci avevano finito, infatti, per ridurre a zero i microrganismi "segreti" contro i quali, cioè, il nemico non aveva alcuna difesa. Anche per questo motivo le armi batteriologiche vengono messe al bando con un trattato internazionale siglato nel 1972.

Nonostante questo divieto, verso la metà degli anni '80 la corsa alle armi batteriologiche riprende con vigore, anche se camuffata con l'esigenza di "dotarsi di strumenti di difesa" da attacchi batteriologici. Il perché è da ricercarsi nella manipolazione del DNA, e quindi del patrimonio genetico, che permette di inventare e creare microrganismi assolutamente sconosciuti al nemico ma ben studiati dall'attaccante che può, quindi, vaccinare preventivamente le proprie popolazioni o truppe (o accatastare determinati farmaci), prima di sferrare l'attacco. Spronato dai militari e dalle multinazionali della biotecnologia, le armi batteriologiche, grazie ad un incremento di budget annuale di 900 milioni di dollari, ritrovano il loro posto negli arsenali. Nel maggio 1989, 800 ricercatori americani, tra i quali tre Premi Nobel per la medicina, lanciano un appello "contro questa nuova rovinosa corsa all'arma batteriologica che rischia di mettere a disposizione di qualche terrorista o sanguinario dittatore un arma dotata di una potenza fino a ieri inimmaginabile". Naturalmente l'appello cade nel vuoto e le ricerche per inventare nuovi e più micidiali microrganismi continuano. Nel settembre del 1990 la rivelazione sui mass media: anche Saddam ha l'arma batteriologica.

La notizia (non supportata, comunque, da nessuna inequivocabile prova) determina una nuova corsa alla realizzazione di "vaccini" per proteggersi da nuove armi batteriologiche. Ma per realizzare nuovi vaccini bisogna preventivamente "inventare" nuovi microorganismi patogeni prima che vengano realizzati dal "nemico". E così, mentre le autorità cubane denunciano un attacco biologico contro le loro coltivazioni (che sarebbe stato condotto nel 1997 dagli Americani con la disseminazione, tramite aerei, di un insetto manipolato geneticamente: il Thrips Palmi) i centri di ricerca per la guerra batteriologica (come Edgewood, vicino Baltimora e Fort Detrick, nello Stato del Maryland, forti di un incremento di budget di 200 milioni di dollari ottenuto nel 1998) lavorano alacremente.

Oltre ai pericoli di provocare una pericolosa escalation, i rischi di questa nuova corsa alle armi batteriologiche sono enormi. Ad esempio un incidente di laboratorio. Il più grave si è verificato in Inghilterra il 3 agosto 1962 quando il dottor George Bacon, morì a casa sua di peste polmonare che aveva contratto nei laboratori del Centro Microbiologico Militare di Porton Down, dove lavorava come biologo. Il giorno dopo, l'anonima faccia di questo scienziato si conquistava la prima pagina di tutti i quotidiani, e subito le autorità inglesi intraprendevano una spasmodica ricerca per identificare, isolare e vaccinare tutti coloro che erano stati a contatto con Bacon. La caccia all'uomo assunse toni da thriller: due ragazze di 9 e 15 anni, Katrin ed Elizabeth Larid, nipoti di Bacon, il 31 luglio si erano recate a casa dello zio per salutarlo prima della loro partenza per la base RAF di El-Adn, in Libia, dove il padre prestava servizio in qualità di ufficiale meteorologico. Dopo una frenetica ricerca, furono rintracciate e, insieme a tutti i componenti della base furono messe in quarantena. Se la peste si fosse propagata in Libia, in assenza di un efficiente servizio sanitario si sarebbe certamente trasformata in una gravissima epidemia. Come dichiarerà un anno dopo la commissione d'inchiesta nominata dal Parlamento inglese, averla evitata fu "un vero miracolo".

Intercettare le armi batteriologiche

L'unica nazione europea capace di intercettare un attacco batteriologico è la Francia che ha un capillare sistema di monitoraggio atmosferico basato su gorgogliatori di lavaggio dell'aria, che possono filtrare 25.000 litri al minuto e analizzare l'eventuale presenza di organismi patogeni. La natura biologica del materiale campionato viene automaticamente e immediatamente determinata usando la spettroscopia a infrarossi, la colorazione automatica dei batteri su filtri passa banda, la reazione di chemiluminescenza... Ma, nonostante l'estrema sofisticazione di questo sistema di allarme la speranza di identificare in tempo un attacco batteriologico è comunque, per ammissione dello Stato Maggiore francese, bassissima in quanto, quasi sempre, i microrganismi patogeni si confondono con quelli normalmente presenti nell'atmosfera.

Attualmente il Pentagono sta portando avanti un programma, del costo di 110 milioni di dollari, per lo sviluppo di mezzi di rilevamento biologico basato su tecnologie come la spettrometria di massa a intrappolamento ionico e la spettroscopia a decomposizione indotta da laser, che dovrebbero, in un prossimo futuro, identificare la presenza nell'aria di agenti patogeni. Un altro sistema, denominato Biological Integrated Detection System (BIDS), esponendo campioni di aria sospetta ad anticorpi, dovrebbe identificare, in non più di trenta minuti. agenti specifici - quali Bacillus anthracis, Yersinia pestis, la tossina botulinica e l'enterotossina stafilococcica B.

 

     Testo divulgato da docente universitario che ha scelto di  rimanere nell’anonimato a causa del suo impegno politico.

 

Bioterrorismo: contagiare è possibile ?

E se qualcuno disseminasse microrganismi patogeni nella metropolitana? È già stato fatto.

Per ordine del Pentagono, nel luglio 1956, fiale contenenti germi di Serratia marcescens e di Bacillus subtilis furono rotte nei condotti dell'aria condizionata della metropolitana di New York e dell’aeroporto di Washington mentre altri germi furono diffusi nel Kittatinny Tunnel e nel Tuscarote Tunnel dell'autostrada della Pennsylvania...

Secondo documenti ufficiali declassificati nel 1977, furono ben 239 (duecentotrentanove!) le disseminazioni di agenti batteriologici in aree densamente popolate effettuate, negli anni “50, dal Dipartimento alla Difesa statunitense; per stimare, - tramite una rete di sensori e il monitoraggio di eventuali ricoveri ospedalieri per “lievi ma insoliti disturbi” - l’area di contagio in caso di un attacco batteriologico sovietico: una minaccia che il Pentagono riteneva allora imminente. Secondo alcuni ricercatori, invece, scopo principale degli “esperimenti” era studiare la possibile disseminazione di eventuali microrganismi “antagonisti” a quelli che sarebbero stati usati dai sovietici. Una specie di “vaccinazione di massa” fatta all’insaputa della popolazione, insomma.

Dai documenti declassificati, comunque, una, oggi consolante, constatazione esce fuori: un isolato attentato bioterroristico, (con buona pace di innumerevoli thriller e film consacrati a questo argomento) avrebbe scarsissime possibilità di scatenare una devastante epidemia. E questo perché, a differenza di un attacco biologico condotto da un esercito (che dapprima, con bombardamenti convenzionali, distrugge strutture di comando, sistemi sanitari, edifici, provoca l’ammassamento di colonne di profughi... e poi sferra l’attacco con germi patogeni o tossine) il bioterrorismo, sferra l’attacco, verosimilmente puntiforme, contro un territorio integro, capace di reagire. Autorevoli ricerche, come quella pubblicata recentemente sul British Medical Journal, indicano che ciò renderebbe improbabile il verificarsi di una devastante epidemia.

Ma oltre a sofisticate simulazioni epidemiologiche la cronaca ha, registrato almeno due episodi che confermerebbero questa ipotesi.

Il primo si verificò in Inghilterra il due agosto 1962 quando un ricercatore, George Bacon, prima di morire, portò all’esterno la peste polmonare che aveva contratto nei Laboratori di Guerra Batteriologica di Porton Down; il secondo si ebbe il 25 agosto 1978 quando il virus del vaiolo, uscito accidentalmente da un laboratorio dell’Università di Birmingham, uccise tre persone. Perché due temibili microrganismi quali lo Yersinia pestis (per giunta reso più letale dalle ricerche che si tenevano a Portn Down) o il Variola mayor, entrambi trasmessi tramite la respirazione e affrontati solo dopo alcuni giorni dai primi decessi, non hanno prodotto una catastrofica epidemia? Sono stati redatti numerosi studi a tal proposito e tutti hanno valutato insufficienti le iniziali misure sanitarie attuate e marginale, per quanto riguarda l’emergenza di Birmin­gham, il ruolo avuto dalla vaccinazione antivaiolosa, obbligatoria per tutti in Europa fino a qualche anno fa ma scarsamente praticata in Inghilterra. Ma, allora, perché non ci fu la catastrofe?

Il perché sarebbe da ricercare, oltre che in ancora non chiari meccanismi regolanti la dinamica delle epidemie (molte dissoltesi senza alcuna convincente spiegazione) nella “tenuta” delle strutture sanitarie che non sono collassate al solo annuncio dell’infezione. In questo senso, forse l’elemento che potrebbe trasformare in una catastrofe un attentato bioterroristico è l’irresponsabile enfasi che molti mass media stanno oggi dedicando a questa minaccia e che (così come fu nel 1991 durante la Guerra del Golfo) si direbbe finalizzata a cementare una guerrafondaia opinione pubblica.

Per fortuna, nonostante i tenebrosi scenari di “guerra batteriologica” grondanti su quasi tutti i mass media e le buste con germi di antrace spedite da qualche pazzo criminale, prontamente imitato da una orda di idioti alla ricerca di notorietà, ancora oggi, l’opinione pubblica non è in preda al panico come attestato dall’irrilevante aumento nelle vendite di ciprofloxacina o doxiciclina, farmaci atti alla cura del carbonchio e, per di più, poco costosi.

È possibile, comunque, che svaporato il filone antrace-carbonchio, qualche altra minaccia biologica sarà enfatizzata nei prossimi tempi sui mass media. Ad esempio la peste. Tanto pochi sanno che, ogni anno, negli Stati Uniti la peste bubbonica uccide dalle tre alle sette persone, perché morse da pulci infestanti roditori sulle Montagne Rocciose. Non è certo la peste “weaponized” prodotta a Fort Detrick o in qualche altro centro per la produzione di armi batteriologiche ma, se nei prossimi mesi si verificherà un qualche decesso per questa infezione, prepariamoci ai titoli cubitali sui giornali.

E speriamo che qualcuno non cominci a spedire buste con pulci più o meno infette.

Queste poche e sintetiche informazioni dovrebbero servire ad evidenziare la estrema stupidità umana ed i rischi che l’intera popolazione corre per colpa della sete di potere, del fanatismo religioso o politico o della più semplice follia di qualcuno.

Di fronte a ciò l’essere umano è sempre più fragile e vulnerabile, non necessariamente deve anche ritrovarsi inerme ed indifeso, credo fermamente che le strutture (anche locali) della Protezione Civile, debbano “formarsi” insieme ovviamente alle strutture competenti, per  conoscere ed affrontare meglio tematiche sino ad ora sottovalutate come l’emergenza chimica o batteriologica che di fatto non sono poi tanto fantascientifiche e che in fondo poco si differenziano, come approccio, al rischio NBCR che corriamo quotidianamente a causa delle attività industriali, dei trasporti, ecc..    

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